Rendez-vous è una visione impietosa dell’uomo moderno che, nella sfrenata corsa alla tecnologia, ha smarrito il suo ruolo di fruitore di servizi, ma è divenuto succube degli stessi, siano questi e-mail, fax, telefoni, televisori o ogni altro mezzo elettronico. Restiamo imbambolati davanti ad uno schermo illudendoci di essere in contatto con il mondo intero, ma quanto più piccolo, reperibile, noto diventa il globo, tanto più irriconoscibile, immensa, sconosciuta diviene la nostra città, il nostro vicino di casa, la nostra stessa famiglia. La danza e il teatro fotografano questa realtà.
La scena è scarna, sfondo nero, luce bianca soffusa. Il tutto va ad accentuare la solitudine del ballerino in postazione computer, ma anche quella degli altri danzatori, che si esibiscono quasi sempre in danze isolate, quasi a volersi rubare la scena: non quella del palcoscenico, bensì quella della “chat”. Grazie alla loro bravura, i protagonisti sembrano trasformarsi nei vari sentimenti, nelle tante emozioni, nei troppi stereotipati atteggiamenti che accompagnano una discussione al computer, una telefonata, una qualsivoglia discussione a distanza.
Non è facile mostrare in danza, ma le registe Rosanna e Simona Cieri (quest’ultima anche ballerina), ci riescono ottimamente. A tal proposito, sottolineiamo la quanto mai diretta scena di un Personal Computer che divora l’utente e il sublime passaggio dell’“incontro al buio” con un fiore all’occhiello come segno di riconoscimento, che trasforma il palcoscenico in un prato fiorito, con fiori mai uguali a sé stessi e con l’uomo che in questo modo è destinato a non incontrare mai la sua metà, in una sorta di moderno e virtuale Simposio di Platone.